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Affrontare l’Islanda a piedi, per oltre 400 km da Nord a Sud, senza alcun supporto esterno, è stato per Simone Salvagnin molto più di un test fisico: è stato un incontro profondo con sé stesso e con l’essenza dell’uomo.
Attraversare l’Islanda a piedi, da Nord a Sud, per oltre 400 chilometri in completa autonomia, è stata per me un’esperienza totalizzante: umana, prima ancora che fisica.
Affrontare venti gelidi, deserti di lava, piogge incessanti, guadi e silenzi assoluti è stato un modo per mettermi alla prova e riscoprire il mio rapporto con il mondo – e con me stesso.
Nonostante un residuo visivo inferiore al 3%, che mi rende legalmente cieco, ho scelto di vivere questa avventura per amplificare i sensi, esplorare la mia interiorità e riconnettermi con l’essenza della presenza.
Ogni passo, ogni fatica, ogni dettaglio – dal vento che ulula alla sabbia che graffia la pelle – è diventato parte di un linguaggio nuovo, fatto di emozioni, intuizioni e percezioni.
Questo viaggio non è stato solo un gesto di coraggio o resistenza. È stato, soprattutto, una testimonianza: i veri limiti spesso risiedono nella mente. Anche nella disabilità si possono trovare forza, bellezza e autenticità. Non ho voluto dimostrare nulla a nessuno, se non a me stesso: che la vera esplorazione, oggi, non è quella delle terre sconosciute, ma quella del proprio universo interiore.
In Islanda ho incontrato le forze primordiali della natura, ma anche la mia vulnerabilità e la mia determinazione. E nel mezzo del nulla, ho trovato tutto.
Perché questo viaggio? C’era una sfida personale dietro o un desiderio di scoperta più profondo?Io vengo dal mondo dell’esplorazione verticale e sono molto legato all’arrampicata. Ho sempre guardato a Est o a Ovest: verso l’Himalaya, o il Sud America e le Ande, dove sono stato più volte.
L’Islanda non era nei miei piani. A farmi guardare verso nord è stata la mia compagna Lucia, che è molto attratta da questi luoghi selvaggi e ancestrali.
Ripensando ai miei viaggi, però, ho notato qualcosa che prima non vedevo chiaramente: il filo conduttore, inconsapevole ma costante, sono sempre stati i vulcani. La mia prima vera esperienza in alta quota, infatti, è cominciata proprio sull’Ojos del Salado, il vulcano attivo più alto del mondo: 6.893 metri.Perchè l'Islanda? Cosa ti ha spinto a scegliere proprio questa terra di silenzi, fuoco e ghiaccio?L’Islanda, per me, era qualcosa di incomprensibile. I paesaggi che conosco sono legati ai miei ricordi visivi di quando ero bambino e vedevo ancora. Quegli ambienti mi erano familiari perché avevano riferimenti che riuscivo a riconoscere. L’Islanda, invece, no. Era un luogo che non riuscivo a immaginare, e l’unico modo per capirlo era andarci di persona, toccarlo con mano.
I vulcani rappresentano l’energia della Terra, proprio come il ghiaccio. L’idea di un luogo che unisce entrambi mi sembrava quasi inconcepibile. Da lì è nata una forte attrazione: volevo capire cos’è davvero l’Islanda, esplorarla in modo orizzontale, camminando.
Non avevo mai fatto lunghi trekking prima. Non avevo mai camminato solo per il gusto di farlo, ma sempre per raggiungere le montagne e le pareti. Per questo è stata un’esperienza nuova sotto ogni aspetto.
Un luogo, un odore, un suono che porterai sempre con te?L’Islanda è stata un’esperienza intensa. All’inizio, lungo la costa, tutto era più familiare, quasi umano—non sentivo odori particolari. Ma appena siamo entrati nell’interno, il paesaggio è cambiato radicalmente.
Il vento era ovunque: costante, tagliente, con un suono che cambiava a seconda della direzione. Ogni colpo sulla tenda aveva una voce diversa. Quel fruscio è diventato la colonna sonora del viaggio.
Ma il silenzio degli odori è ciò che mi ha colpito di più. In quell’assenza, ho scoperto quanto l’olfatto, da quando non vedo più, sia diventato essenziale per orientarmi. Ho capito che anche i sensi, come i luoghi, si possono esplorare.
Hai scoperto qualcosa di nuovo su di te che non sospettavi prima del cammino?Ho sempre praticato sport ad alta intensità, con una forte componente tecnica. Camminare, invece, mi ha riportato alle origini, a quando con il progetto "Verso Dove Non So" attraversai il Medio Oriente fino all’Uzbekistan in bicicletta insieme a Dino Lanzaretti.La bici ti dà slancio, la ruota ti alleggerisce. Ma a piedi no: è diretto, nudo, crudo. A piedi senti tutto: il peso dello zaino sulla schiena, ogni grammo, ogni passo.
All’inizio, con 30 chili sulle spalle, il mio istinto era quello di scappare. Una parte di me rifiutava quella lentezza.Ma col tempo, passo dopo passo, la fatica, il clima ostile e quel paesaggio spoglio sono entrati dentro di me. Mi hanno rimesso al mio posto.
Forse è questa la vera rivoluzione che l’Islanda ha acceso dentro di me: farmi sentire piccolo, sì, ma anche parte di qualcosa di immensamente più grande. E in quella grandezza, paradossalmente, ho trovato calore.Cosa rappresenta per te un “limite”? È qualcosa da superare, da accettare, o da ascoltare?I limiti non sono sempre ostacoli da superare o traguardi da conquistare, ma spesso rappresentano nuovi punti di partenza.
Spesso li ingigantiamo, trasformandoli in barriere insormontabili, ma è fondamentale affrontarli con chiarezza e razionalità. Esistono per essere riconosciuti, per confrontarsi con essi e provare a trasformarli. A volte ci riesci, altre volte no.
Tuttavia, proprio l’avvicinarsi a questi confini, l’osservarli con attenzione e consapevolezza — ci arricchisce, aprendo un dialogo significativo con le condizioni che definiscono la nostra vita.
Get ready for the adventure
Simone Salvagnin
A Look Beyond
400 km a piedi in Islanda.
Da Nord a Sud.
Solo vento e silenzio.
Con una cecità quasi totale.
Alessandro Beber
C'era una volta ad Est
Alessandro Beber and a group of friends from the Dolomites moves east, to discover the legendary sandstone towers of the Czech Republic, where climbing has developed its own tradition for over a century, as severe as it is fascinating!